Malattie infettive: comprenderle e affrontarle
Questo articolo esplora come alimentazione, sonno, attività fisica, gestione dello stress, microbiota e micronutrienti (vitamina D, zinco, vitamina C, selenio) influenzano la capacità dell’organismo di difendersi dalle infezioni. Approccio integrato e medicina funzionale.

Nicolas Di Leo
Ricercatore Harvard University

Le malattie infettive non dipendono solo dal virulento “assalto” di virus, batteri o funghi: il modo in cui ci alimentiamo, dormiamo, gestiamo lo stress e nutriamo il nostro microbiota determina la rapidità e l’efficacia con cui il sistema immunitario reagisce.
L’obiettivo di questo articolo è mostrare come dieta, stile di vita e alcuni interventi mirati possano ridurre la vulnerabilità alle infezioni, fornendo spunti pratici per professionisti della salute e per il pubblico interessato alla medicina funzionale.
Indice
Stile di vita, infiammazione e rischio di contagio
Una dieta ricca di zuccheri raffinati e povera di fibre mantiene attiva la via pro-infiammatoria NF-κB, aumenta lo stress ossidativo e riduce la citotossicità linfocitaria (Hotamisligil, 2017). L’obesità viscerale, in particolare, crea un microambiente dominato da citochine come IL-6 e TNF-α che interferiscono con la maturazione delle cellule dendritiche e la produzione di anticorpi, rendendo i vaccini meno efficaci negli individui in eccesso ponderale (Painter, 2015).
Non a caso, in una coorte di quasi seimila pazienti COVID-19 il rischio di ventilazione invasiva aumentava progressivamente con l’Indice di Massa Corporea anche dopo correzione per età e comorbilità (Simonnet, 2020).
Accanto alla nutrizione, anche sonno, attività fisica e stress modulano le difese.
Settimane di riposo notturno ridotto a meno di sei ore innalzano il cortisolo, sopprimono la produzione di IL-2 e depotenziano le cellule NK, con incremento documentato di raffreddori e infezioni respiratorie (Irwin, 2019).
Al contrario, esercizio moderato regolare, cammino veloce o bicicletta per almeno 150 minuti a settimana, migliora la recircolazione dei linfociti T e riduce i marker infiammatori di basso grado (Nieman, 2019).
Una gestione attiva dello stress con mindfulness, immersione nella natura o yoga aiuta a mantenere più basso il tono simpatico e, con esso, i livelli di noradrenalina che inibiscono le funzioni dei macrofagi.
Microbiota e barriera intestinale
Sette cellule immunitarie su dieci risiedono nella mucosa gastrointestinale, dove il microbiota funge da vera e propria milizia difensiva.
Lattobacilli e Bifidobatteri fermentano fibre indigeribili generando acidi grassi a corta catena – in particolare butirrato – che rinforzano le tight junctions, stimolano la produzione di IgA secretorie e inibiscono la crescita di patogeni come Clostridioides difficile e Candida albicans (Koh, 2016).
L’uso ripetuto di antibiotici ad ampio spettro, abbinato a un’alimentazione povera di prebiotici ma ricca di edulcoranti e additivi, induce disbiosi con perdita di diversità: aumenta la permeabilità intestinale, endotossine batteriche entrano in circolo e mantengono un’infiammazione cronica sistemica che sottrae risorse al sistema immunitario (Levy, 2017).
La prima linea d’intervento è dietetica: consumare quotidianamente verdure, frutta, legumi e cereali integrali fino a raggiungere almeno 25–30 grammi di fibre fornisce il substrato preferito dai batteri commensali.
Altrettanto utile è introdurre alimenti naturalmente fermentati – kefir, yogurt, kimchi, tempeh, crauti – che veicolano microrganismi benefici già attivi. In situazioni di disbiosi conclamata o dopo terapie antibiotiche prolungate, diverse linee guida raccomandano probiotici selezionati: Lactobacillus rhamnosus GG e Saccharomyces boulardii riducono l’incidenza di diarrea antibiotico-correlata e accelerano la normalizzazione della flora (Hempel, 2012).
Un’altra componente fondamentale è lo stress ossidativo. I radicali liberi (ROS) prodotti da cellule attivate o da disfunzioni metaboliche possono a loro volta innescare percorsi infiammatori.
Ad esempio, un eccesso di ROS attiva vie redox-sensibili come NF-κB e l’inflammasoma NLRP3, portando a ulteriore rilascio di citochine pro-infiammatorie .
Si instaura così un circolo vizioso: l’infiammazione cronica genera ROS che danneggiano le strutture cellulari, e lo stress ossidativo risultante stimola ulteriormente le vie infiammatorie mantenendo attiva la risposta .
Nutrienti legati all’immunità
Tra i numerosi micronutrienti coinvolti nella risposta immune, vitamina D, zinco e vitamina C sono quelli con il rapporto più robusto tra evidenze cliniche e carenza frequente.
Vitamina D
Oltre al ben noto ruolo nel metabolismo osseo, induce la sintesi di peptidi antimicrobici come catelicidina e defensine nelle vie respiratorie: una meta-analisi su oltre undicimila soggetti ha mostrato che la supplementazione quotidiana o settimanale riduce del 12 % il rischio di infezioni acute del tratto respiratorio, con beneficio massimo nei soggetti gravemente carenti (Martineau, 2017).
Zinco
Cofattore indispensabile per più di trecento enzimi, tra cui quelli che regolano la replicazione virale; sostiene la maturazione dei linfociti T nel timo e stabilizza le membrane mucose.
Un trial controllato su 420 anziani ha evidenziato che 15–30 mg/die di zinco per dodici settimane aumentano la risposta anticorpale ai vaccini e riducono del 37 % l’incidenza di infezioni del tratto respiratorio (Prasad, 2007).
Carenze modeste non sono rare nei vegetariani o negli anziani con dieta monotona: in questi casi, integrazioni mirate ma limitate nel tempo sono giustificate.
Vitamina C
Nota per la sua azione antiossidante, sostiene la motilità dei neutrofili e la sintesi di collagene delle barriere mucose.
Una review di ventinove trial ha rilevato che l’assunzione regolare di almeno 200 mg/die riduce in media dell’8 % la durata del raffreddore comune (Hemilä, 2017).
Pur non prevenendo l’infezione nella popolazione generale, la correzione di eventuali deficit è raccomandata, specialmente nei fumatori e negli anziani istituzionalizzati, in cui le riserve di acido ascorbico sono spesso inferiori alla norma.
Non va dimenticato il selenio: nelle regioni con suoli poveri di questo oligoelemento, la sua carenza aumenta la mutagenesi di alcuni virus RNA, rendendo più aggressive malattie come l’influenza (Beck, 2003).
Bastano una noce brasiliana al giorno per raggiungere il fabbisogno di 55–70 µg/die.
Conclusione
La prevenzione delle malattie infettive comincia a tavola, si consolida con uno stile di vita sano e si perfeziona con integrazioni mirate quando un deficit è documentato.
La medicina funzionale integra questi elementi alle terapie convenzionali, rafforzando l’organismo senza soluzioni miracolistiche.
Chi desidera approfondire meccanismi molecolari, protocolli nutrizionali e casi clinici potrà trovare una trattazione completa nel libro “Vita Funzionale”.
Domande Frequenti (FAQ)
1. Cosa causa un sistema immunitario debole?
Un’alimentazione ricca di zuccheri e povera di fibre, carenza di sonno, stress cronico, inattività fisica e disbiosi intestinale possono indebolire il sistema immunitario.
2. Quali alimenti aiutano a rafforzare le difese immunitarie?
Verdura, frutta, legumi, cereali integrali, kefir, yogurt, kimchi, tempeh e crauti supportano il microbiota e potenziano le barriere immunitarie.
3. Quando è utile integrare vitamina D, zinco, C o selenio?
Quando le analisi rivelano carenze o in gruppi a rischio come anziani, vegetariani o dopo terapie antibiotiche, le integrazioni mirate sono giustificate.
4. Quanto influisce il sonno sul rischio di infezioni?
Dormire meno di 6 ore a notte aumenta il cortisolo e abbassa le difese immunitarie, rendendo più frequenti raffreddori e infezioni respiratorie.
5. La medicina funzionale può prevenire le malattie infettive?
Sì: integrando dieta, stile di vita e integrazioni mirate, la medicina funzionale rafforza le difese in modo olistico, senza ricorrere a soluzioni miracolistiche.